Il mio amico Michael Jackson
di Franco Zeffirelli
ROMA (1 luglio) - Avvenne allo stadio Flaminio nel 1988. Organizzammo una festa a casa mia assieme a Quincy Jones, il suo produttore. Invitammo Sofia Loren, che venne con il figlio. E c’erano Arbore, Ramazzotti, Bertolucci... Lui fu sensazionale, gentilissimo, beneducato, per nulla arrogante, un angelo. Indossava la sua uniformetta rossa, era anche innamorato. Non portava ancora i segni delle deturpazioni orrende che i chirurghi gli hanno poi lasciato in faccia. Gli restituii la visita nel
Fu fantastico e dolcissimo anche in quel frangente. In un’altra occasione dovevo consegnargli un libro che mi aveva chiesto, e lo facevo con piacere capitai da lui in estate. Era molto caldo, mi dissero se potevo attendere perché Michael riposava ancora. In giardino c’era un sacco di biciclettine, macchinette, giocattoli. Amava stare con i bambini, con dei cuccioletti intorno, ma non ha mai usato loro violenza. Sono state le madri tremende di alcuni, assetate di soldi, a montare storie assurde, coartando i ragazzini perché dicessero certe cose contro Jackson.
Lui ha sempre solo tentato di ricostruire la propria infanzia. Ha sofferto molto. Si è fatto sfigurare, si è lasciato andare al meccanismo dello star system, stritolato dalle operazioni, dai farmaci, dai soldi, dai debiti e ancora dai soldi. Ma era un fenomeno vero. Un talento naturale esploso in tutto il mondo. La sua fine tragica non può non averci colpito. Terribili le descrizioni del suo corpo, ridotto alle sole ossa, con nello stomaco unicamente tracce di medicinali. Michael è stato un bambino dolce e insicuro. E un bambino non meritava questo tragico the end.
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